giovedì 20 marzo 2014

Parole d'acqua

Mi immergo nella vasca da bagno in cerca di un po' di quiete.
La casa riecheggia di voci amiche, ricordo delle innumerevoli giornate e nottate trascorse in compagnia. Simposi.
I muratori, al di là della strada continuano a trafficare con spatole e vernici. La vicina sbatte un tappeto sulla balconata e torna a passare l'aspirapolvere. Se mi immergo totalmente posso ascoltare i discorsi dei vicini del piano di sotto, sento persino la trasmissione alla televisione.
Ogni tanto un'ape o una farfalla, che fanno visita ai miei fiori, si inoltra in casa, passa per il bagno, mi porge un saluto e torna ai profumi del mio balcone.
Il gelsomino sta fiorendo. Nonostante il raffreddore, ne sento l'odore. Mi penetra sino ai polmoni. Raggiunge direttamente il cuore. Mi ricorda le notti d'estate trascorse nella casa nuova, la casa di mia nonna dove andammo a vivere dopo che lei morì. Mi ricorda me, piccina ancora, in quel giardinetto a giocare con la terra -la impastavo con l'acqua e plasmavo statuine d'argilla-, a parlare con le gatte, che una volta erano sue, credendo che loro potessero essere un tramite tra me e lei. Mi ricordo che tra quei gelsomini, a tarda sera, incontravo spesso le lucciole. Le credevo fate.
Mi fermo un attimo, blocco la mente. Sono le quattro. C'è ancora luce. Penso a quando le nostre strade si incrociarono. Ti lamentavi della luce invernale, del sole che a quest'ora già riposa. Non ne eri felice, non eri felice e questo non ti aiutava. Adesso c'è ancora luce, il sole è lì che brilla. Oggi nemmeno ti sento, non sei felice. E il sole c'è. Mi chiedo come fare...
Ma è per questo che sono nell'acqua, per non pensare, affogare un sentimento troppo grande. Lascio, lentamente, scivolare la testa sotto. Vorrei nuotare. Mare mio che nostalgia ho di te! Nostalgia di un sussurrar d'ali di gabbiano.
Tu non lo sai, la prima poesia che scrissi era sui gabbiani, la mia maestra delle elementari ne rimase stupefatta. Io non me la ricordo e nemmeno ricordavo fosse accaduto fino a qualche secondo fa. Ma ecco che torno a parlarti... È quel che farei, potessi. Se solo le mie parole finalmente avessero un suono e non un semplice scricchiolar di carta, attrito di penna su un foglio! Alla mia età non ho ancora imparato a parlare. Forse perché nessuno ha mai trovato il modo di ascoltarmi. Se scrivo, puoi non leggermi, puoi non ascoltarmi, la scelta è tua, te ne do libertà. Non obbligo all'ascolto, non necessito di emanazioni di me. Vorrei ci fosse un modo. Ci sarà, certo, ogni cosa a suo tempo. Ho imparato da poco a slegarmi dai versi, imparerò anche quello.
Domani inizia la primavera. Avrei voluto fossimo insieme. Avrei compiuto gesti banali, forse mi sarei tagliata una ciocca di capelli e te l'avrei regalata come pegno d'amore. Questi miei capelli che farei crescere per piacerti di più! Avrei forse, con un solco, disegnato un cerchio sul terreno, pregando la madre terra di averti con me. Forse, avrei guardato le stelle nella profonda notte, in cerca di risposte. Avrei sonnecchiato ai piedi di un albero, nella speranza di svegliarmi e trovarti accanto.
Le anime non hanno tempo... Ci penso spesso. Ma ora mi sento come una fotografia immateriale. Sono in un rullino non sviluppato. Non credo di volerne vedere la stampa. Eppure esisto.
Cogito ergo sum, diceva il buon Cartesio. Come biasimarlo. Mi piacerebbe pensare di meno per sentirmi meno qui. Sola. E non mi sento sola, sento solo che manca qualcosa.
Ma è tardi, sono da due ore qui dentro.
A volte le cose non hanno né inizio né fine.
Ed io, devo andare.

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