venerdì 20 dicembre 2013

Quel posto chiamato casa

Esiste un posto chiamato casa.
In quanti la cercano, la perdono, la costruiscono, la abbandonano...in quanti si aggrappano a delle mura non proprie per sentirsi protetti da ciò che il mondo esterno impone, e quanti, invece, ne fanno una proiezione di ciò che le mode e i tempi van dettando.
Eppure, se ben ci pensate -ed io stessa, naturalmente, ho sempre cercato il mio nido caldo dove rinchiudermi, dove sentirmi tranquilla, al riparo- ciò che noi chiamiamo casa non è forse, più di qualunque altra cosa, la nostra proiezione? Osservatevi, e osservate i vostri spazi.
Sin da quando il cucciolo di uomo inizia a crescere e a sentire il bisogno di camminare con le sue zampette indecise, di prendere il Suo sentiero, di sentirsi libero di essere, inizia questo desiderio di personalizzare il proprio spazio a immagine e somiglianza di sé, a plasmarlo.
E' l'uomo e la sua idolatria, l'idolatria del sé.
Tuttavia non vi è mai successo di pensare che voi stessi siate, in primis, la vostra casa?
Le vostre parole la vostra musica, la vostra pelle i vostri spazi, i vostri silenzi le vostre mura...
Chi di noi non si nasconde dietro una maschera. Chi non usa la propria pelle, imperfetta, plasmandola per sentirsi esteriori, per sentirsi materia, per sentirsi atomo. Per sentirsi sé, emanazione del sé, affermazione del sé. Al di là dell'ostentare e del diventare massa uniforme e informe, molti usano il proprio corpo come strumento identitario, come barriera esterna per indicare ciò che si nasconde all'interno, e proteggerlo.
Basta un soffio di vento, un odore, un rumore, per capire dove si è casa.
Io l'ho sempre identificata con il mare. Il calore del sole, l'odore di salsedine, quella sapidità che ti secca le labbra, i ciottoli apparentemente tutti uguali ma straordinariamente sorprendenti...quel turchese cangiante che abbraccia l'infinito del cielo...il tocco freddo e delicato dell'acqua e quella sensazione di distaccamento dal mondo. Il non doversi più ancorare al terreno, il fluttuare nell'immensità dei propri pensieri. Quel che ho sempre amato del mare è il suo eterno mutare. Credo non mi sia mai capitato di rattristarmi trovando il mare agitato o assolutamente piatto. Mi ha sempre accompagnata nei miei stadi emotivi, mi ha regalato, ogni volta, il suo messaggio di libertà. E, a suggello di quell'unione con il cielo, mi ha abbracciata nei giorni meno lieti, in quei giorni in cui le mie mura stanche sentivano di doversi congedare e liberarmi dalla costruzione-costrizione di autocontrollo che mi sono creata, di sciogliersi, esanimi, da acqua in acqua...in quell'istante in cui il sole oscurato dalle nubi, improvvisamente riversa il suo pianto sul mare, nel mare. Quale consolazione!
Le mie mura, acqua,
spuma che culla
Meus olhos, agua,
pingar de liberdade.
Sono certa, di esser io la mia casa. Ovunque andrò. Io, il mio pensiero, il mio corpo saremo casa.
Oggi...come vorrei oggi sedermi su un umido tappeto di foglie, sotto questo cielo plumbeo, inspirare totalmente l'odore di verde bagnato che si consuma, espirare i miei pensieri verso l'alto e allungarli a braccia tese verso il cielo, i piedi nell'acqua, il cuore sul legno.
_Oggi, la mia casa sarà albero.

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