Esiste un posto chiamato casa.
In quanti la cercano, la
perdono, la costruiscono, la abbandonano...in quanti si aggrappano a
delle mura non proprie per sentirsi protetti da ciò che il mondo
esterno impone, e quanti, invece, ne fanno una proiezione di ciò che
le mode e i tempi van dettando.
Eppure, se ben ci pensate -ed io
stessa, naturalmente, ho sempre cercato il mio nido caldo dove
rinchiudermi, dove sentirmi tranquilla, al riparo- ciò che noi
chiamiamo casa non è forse, più di qualunque altra cosa, la nostra
proiezione? Osservatevi, e osservate i vostri spazi.
Sin da quando
il cucciolo di uomo inizia a crescere e a sentire il bisogno di
camminare con le sue zampette indecise, di prendere il Suo sentiero,
di sentirsi libero di essere, inizia questo desiderio di
personalizzare il proprio spazio a immagine e somiglianza di sé, a
plasmarlo.
E' l'uomo e la sua idolatria, l'idolatria del
sé.
Tuttavia non vi è mai successo di pensare che voi stessi
siate, in primis, la vostra casa?
Le vostre parole la vostra
musica, la vostra pelle i vostri spazi, i vostri silenzi le vostre
mura...
Chi di noi non si nasconde dietro una maschera. Chi non
usa la propria pelle, imperfetta, plasmandola per sentirsi esteriori,
per sentirsi materia, per sentirsi atomo. Per sentirsi sé,
emanazione del sé, affermazione del sé. Al di là dell'ostentare e
del diventare massa uniforme e informe, molti usano il proprio corpo
come strumento identitario, come barriera esterna per indicare ciò
che si nasconde all'interno, e proteggerlo.
Basta un soffio di
vento, un odore, un rumore, per capire dove si è casa.
Io l'ho
sempre identificata con il mare. Il calore del sole, l'odore di
salsedine, quella sapidità che ti secca le labbra, i ciottoli
apparentemente tutti uguali ma straordinariamente sorprendenti...quel
turchese cangiante che abbraccia l'infinito del cielo...il tocco
freddo e delicato dell'acqua e quella sensazione di distaccamento dal
mondo. Il non doversi più ancorare al terreno, il fluttuare
nell'immensità dei propri pensieri. Quel che ho sempre amato del
mare è il suo eterno mutare. Credo non mi sia mai capitato di
rattristarmi trovando il mare agitato o assolutamente piatto. Mi ha
sempre accompagnata nei miei stadi emotivi, mi ha regalato, ogni
volta, il suo messaggio di libertà. E, a suggello di quell'unione
con il cielo, mi ha abbracciata nei giorni meno lieti, in quei giorni
in cui le mie mura stanche sentivano di doversi congedare e liberarmi
dalla costruzione-costrizione di autocontrollo che mi sono creata, di
sciogliersi, esanimi, da acqua in acqua...in quell'istante in cui il
sole oscurato dalle nubi, improvvisamente riversa il suo pianto sul
mare, nel mare. Quale consolazione!
Le mie mura, acqua,
spuma che culla
Meus olhos, agua,
pingar de liberdade.
Sono certa, di esser
io la mia casa. Ovunque andrò. Io, il mio pensiero, il mio corpo
saremo casa.
Oggi...come vorrei oggi sedermi su un umido tappeto
di foglie, sotto questo cielo plumbeo, inspirare totalmente l'odore
di verde bagnato che si consuma, espirare i miei pensieri verso
l'alto e allungarli a braccia tese verso il cielo, i piedi
nell'acqua, il cuore sul legno.
_Oggi, la mia casa sarà albero.
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odes vel amas?